Quando nel 2008 il Manchester City passò di mano, nessuno poteva immaginare che da quella cessione sarebbe nata una delle formazioni più dominanti del calcio moderno. Il club, fino ad allora una nobile decaduta del panorama inglese, era reduce da un periodo turbolento sia sul piano sportivo che societario, segnato dal controverso passaggio di proprietà all’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra.

Quella fase, durata poco più di un anno, rappresentò la transizione più delicata della storia recente dei Citizens, preludio di una rivoluzione che avrebbe cambiato il volto del calcio europeo. Oggi il Manchester City è una realtà internazionale più che consolidata e grazie ai tanti successi rimediati in campionato ha iniziato a godere di una certa considerazione a livello globale ancora prima di aggiudicarsi la Champions, motivo per il quale gli Sky Blues sono in prima linea tra le varie quote sul calcio inglese anche quando attraversano periodi di appannamento, come accaduto nella scorsa stagione. I Citizens, infatti, hanno visto il Liverpool trionfare in campionato con un margine di ben 13 punti.
L’era Shinawatra e il caos prima della rinascita
Nel 2007 Shinawatra, dopo aver perso il potere politico in patria, acquistò il Manchester City per circa 80 milioni di sterline, promettendo investimenti e ambizioni da grande club. In quell’estate arrivarono nomi di rilievo come Martin Petrov dall’Atletico Madrid e Valeri Bojinov, seguiti dall’ingaggio di Sven-Göran Eriksson in panchina. Tuttavia, la gestione dell’ex premier thailandese si rivelò presto caotica: problemi legali nel suo Paese, fondi bloccati e un’instabilità finanziaria crescente minarono la credibilità del progetto. Nel giro di pochi mesi, infatti, la situazione precipitò. Le accuse di corruzione e il congelamento dei beni costrinsero Shinawatra a vendere il club. Il destino volle che l’acquirente fosse la Abu Dhabi United Group, guidata da Mansour bin Zayed Al Nahyan, membro della famiglia reale degli Emirati. Con il passaggio di proprietà, annunciato il 1° settembre 2008, il Manchester City entrò ufficialmente nell’era dei petrodollari.
Il cambio di paradigma
Il primo segnale del cambiamento fu immediato: nel giorno stesso dell’acquisizione, il City concluse l’acquisto shock di Robinho dal Real Madrid per 32,5 milioni di sterline, una cifra oggi ritenuta la norma ma un vero e proprio record per l’epoca. Quel trasferimento simboleggiò la nuova ambizione del club e la volontà di sfidare apertamente l’egemonia dei cugini del Manchester United. Negli anni successivi, gli investimenti si moltiplicarono. Con l’arrivo di Roberto Mancini nel 2009, il progetto tecnico assunse una forma definita. Nel 2011 arrivò la FA Cup, il primo trofeo dell’era moderna, e nel 2012 lo storico titolo di Premier League conquistato all’ultima giornata grazie al celebre gol di Sergio Agüero contro il Queens Park Rangers. Quell’urlo, rimasto impresso nella memoria collettiva del calcio inglese, sancì la rinascita sportiva dei Citizens.
Dalla costruzione del dominio interno alla consacrazione europea
Negli anni successivi, sotto la guida di Manuel Pellegrini prima e di Pep Guardiola poi, il Manchester City consolidò un modello calcistico innovativo, fondato su possesso palla, pressing alto e qualità individuale. Il club divenne una macchina quasi perfetta, capace di vincere campionati a ritmo impressionante e di ridefinire gli standard tattici della Premier League. Fu soprattutto Guardiola, arrivato nel 2016 e tuttora presente in panchina, ad essere l’architetto della trasformazione definitiva. Con lui, il City raggiunse un equilibrio tra estetica e concretezza, conquistando titoli nazionali a ripetizione e costruendo una cultura vincente fondata su metodo, analisi e controllo totale del gioco. Nel 2023 arrivò la consacrazione europea con la vittoria della Champions League a Istanbul, grazie al successo per 1-0 contro l’Inter.