C'è anche Sebino Nela nella lista dei giocatori che in carriera hanno avuto un arresto cardiaco e che hanno rivissuto il proprio dramma guardando in tv cosa è successo a Bove domenica, in Fiorentina-Inter. L'ex terzino di Roma e Napoli ricorda la sua esperienza parlando al Corriere della Sera.

Dramma sfiorato per Nela

Era l’11 marzo 1984, si giocava al San Paolo Napoli-Roma in una bella giornata di sole e Nela spiega: "ella nostra area di rigore, sotto la Curva A, quella a destra della tribuna centrale, salto per prendere un pallone. E in un attimo fu il buio. Il mio compagno di squadra Dario Bonetti mi aveva colpito alla testa con una gomitata. Ebbi un arresto cardiaco. Fui salvato dall’immediato intervento del medico sociale Ernesto Alicicco e del massaggiatore Giorgio Rossi. Mi dissero che mi fecero la respirazione bocca a bocca che mi salvò. Mi ripresi uscendo dal campo con le mie gambe. La gara proseguì, ma da allora per avere l’idoneità per giocare dovetti andare tutte le estati a fare degli esami specifici a Trento: ogni volta con un’ansia incredibile. La mia, però, rispetto a molti altri casi, fu una storia “semplice” nella sua drammaticità: c’era stato un chiaro evento traumatico».

Il precedente di Manfredonia

Non come quello che accadde a Bologna: Nela era in campo con la maglia della Roma il 30 dicembre del 1989 quando vide Lionello Manfredonia da solo barcollare e cadere privo di sensi in quell’indimenticabile Bologna-Roma. «Fu un vero choc, una scena terribile: Lionello stava male. Il dottor Alicicco, sempre lui, fu decisivo: con la punta delle forbici aprì la bocca di Lionello per permettere la respirazione. Aveva le mascelle serrate e la bava alla bocca. L’ambulanza era a disposizione. E la fortuna ulteriore fu che l’ospedale Maggiore era vicinissimo allo stadio. Quell’infarto fu trattato con tempistiche eccezionali. Non sempre accade,».

L'augurio a Bove

Nela ha visto in tv il malore di Bove
“Si è capito subito che era una cosa grave. Anche qui, come per me, per Manfredonia e per Eriksen, la prontezza di riflessi e la professionalità dei medici ha fatto la differenza. Ho sperato non fosse nulla di grave, ma fino a quando non ci hanno detto che era fuori pericolo, l’ansia è stata grandissima. Ho letto che ha chiesto quando potrà tornare a giocare. E’ normale, passata la paura del momento, che poi non ricordi in modo dettagliato, come accadde a me, guardi alla tua vita, al futuro da calciatore, specie per Edo che ha 22 anni. Ma adesso ci vuole la tranquillità che porta alla guarigione. Il ragazzo deve solo attendere e capire cosa è successo. La vita è la cosa più importante, io ci sono passato, mi permetto di insistere. I controlli ci sono, soprattutto in Italia, e sono giustamente severi. Il caso Eriksen lo dimostra. Mi auguro che Edo capisca al più presto cosa è successo al suo fisico, le ragioni di questo malore così grave, che ha spaventato tutti”.

 

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