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Intervista Marco Formica, mental coach di tennis

07/04/2020 17:09

Intervista Marco Formica, mental coach di tennis  |  Sport e Vai

“Preparazione mentale? Ormai tra tecnici ed atleti ha preso piede la consapevolezza che un’ottima preparazione tecnica e atletica da sole non bastano“
 

Questa la considerazione espressa da Marco Formica, uno dei più importanti mental coach italiani.

Ormai la preparazione mentale è diventata fondamentale per affrontare i match in modo completo e consapevole.

La preparazione mentale si occupa sia della preparazione pre-match che durante il match.

Marco ha seguito tennisti italiani tra i primi 100, come Travaglia, Fabbiano e Luca Vanni.
 
     
Come hai scoperto il tennis?

Vengo da una famiglia con origini sportive: mi sono diplomato all’ISEF di Perugia e vent’anni dopo mi sono laureato con lode in Scienze Motorie a Tor Vergata; sono maestro di sci, istruttore di nuoto e sono stato un atleta. Sono andato a scuola di tennis da giovanissimo ed è stato uno dei tanti sport che ho praticato. Di fatto, sebbene come mental coach sia più noto nel mondo del tennis, ho contribuito a un argento olimpico nella spada (Andrea Santarelli a Rio 2016), seguo il motocross a livello europeo (con Leo Junior Angeli), karate (con Matteo Broglioni che ha un titolo mondiale), lo sci (con Lorenzo Alesi che è un free rider internazionale seguito da più di 40mila persone su Instagram) e potrei continuare parlando di ciclismo, judo e altro ancora.
 

Quando hai capito potesse diventare una professione?

Ho avuto un’intuizione nel 2003, leggendo un articolo su Repubblica che parlava del coach, una nuova figura professionale nata in America per aiutare le persone a esprimere le proprie potenzialità e abbracciare il cambiamento cavalcandolo anziché subendolo. Mi sono avvicinato al coaching studiando alcuni libri per capire meglio la metodologia e quando mi sono chiarito le idee sono andato a formarmi in America, dove ho conseguito le certificazioni professionali nel campo del coaching, della programmazione neuro linguistica e della ipnosi. Era il 2005 ero ancora un manager ma stavo preparando il “piano B” e nel 2007 ho mollato tutto per focalizzarmi su questa nuova avventura. 
 
Sei uno dei più importanti mental coach italiani; come hai avuto l’idea di intraprendere questa parte del lavoro tennistico?

Circostanze fortuite, direi. Una grande amica (Elisa Turchetti, che qui desiderio menzionare e ringraziare), ex tennista, moglie di un noto maestro di tennis e madre di tre ottime tenniste, mi chiese di occuparmi della sua più giovane ragazza, introducendomi in quella che un giorno sarebbe stata premiata come migliore scuola di tennis d’Italia, la Tennis Training School di Foligno. Arrivare nel posto giusto al momento giusto e con le competenze giuste, mi ha dato la possibilità di continuare crescere, sperimentare e contribuire alla formazione di tre tennisti “Top 100” come Fabbiano, Vanni e Travaglia, che sono stati determinanti per la mia carriera. Non di meno al Giotto di Arezzo (altra Top School) ho avuto la possibilità di seguire la nostra più grande fuoriclasse del tennis in carrozzina, Giulia Capocci, fino al suo best ranking di numero 5 del mondo.
 
Se volessi diventare un mental coach cosa dovrei fare?

Diciamo subito che in quanto professione giovane ancora non beneficia di un albo professionale come altre categorie e non esiste un percorso univoco ben definito, tanto che le stesse facoltà di psicologia si sono attrezzate solo recentemente con la specializzazione nello sport. Questo complica le cose sia a chi desidera formarsi, sia a chi dovesse orientarsi per trovare un mental coach preparato. Inoltre le discipline che possono concorrere a una formazione di buon livello, sono tante e non è facile crearsi un piano di studi ad hoc. Consiglierei comunque di cominciare con un percorso accademico come la psicologia dello sport a cui aggiungerei un percorso di approfondimento  nei campi complementari e funzionali ad una preparazione più completa possibile. Non ultimo, credo che una solida esperienza di sport e agonismo, sia fondamentale per comprendere più rapidamente tante dinamiche che caratterizzano i casi più diffusi tra gli atleti di qualsiasi disciplina. 
 
In questo momento dove lavori e da chi è composto il tuo staff?

Ci tengo a dire che sono un solista: non ho uno staff ma spesso vengo invitato negli staff di atleti ad alto potenziale, dove insieme creiamo un progetto per accompagnarlo verso obiettivi ambiziosi. 
 
Quali giocatori segui?

In questo momento se ci limitiamo al tennis, sono focalizzato sulle due top school che ho citato. In particolare alla Tennis Training School seguo Marco Miceli che è uno dei giocatori più promettenti della classe 1998, mentre al Giotto seguo Matilde Mariani, classe 2002,  che come Marco è da sempre sotto osservazione della FIT. 
Aggiungo che oltre ad affiancare altri ragazzi e ragazze con una potenziale vocazione per il professionismo, ad Arezzo stiamo lavorando a un progetto che coinvolge tutta la popolazione agonistica a partire dai più giovani, per educarli a vivere lo sport per se stessi, lontano da pericolose aspettative esterne, cercando di trasmettere e preservare i valori più importanti dello sport, come il rispetto, la disciplina, la dedizione, il sacrificio e soprattutto il divertimento. 
 
Li segui anche nelle trasferte o solo in allenamento?

Sono in giro per il mondo molto spesso: in genere due settimane consecutive per due tornei e una settimana a casa per gli allenamenti. Naturalmente questa programmazione è molto fluida perché ci sono delle variabili come le liste di accesso ai Main Draw, piuttosto che le wild card, gli infortuni o i calendari delle partite a squadre. Spesso parto con un giocatore ma a volte se ne aggregano altri. Può capitare di fermarsi una settimana in più per cavalcare un momento buono o tornare prima per rimettere in quadro la condizione. Insomma, poche certezze e tanta disponibilità. 
 
Sono molti ormai i giocatori che hanno un tuo collega che li segue; Come nasce questa esigenza per un atleta?

Ormai tra tecnici ed atleti ha preso piede la consapevolezza che un’ottima preparazione tecnica e atletica da sole non bastano: la preparazione mentale mira a renderle totalmente fruibili nell’ottica di riuscire a dare il massimo. Vincere (eventualmente) non è altro che la conseguenza di esserci riusciti. Pertanto succede che talvolta la chiamata arrivi su iniziativa di un tecnico, altre direttamente dal giocatore, piuttosto che da parte dei genitori nel caso dei più giovani.

Adamo Recchia
 


Tags: Andrea Santarelli Leo Junior Angeli Matteo Broglioni Lorenzo Alesi Marco Formica

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