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Intervista a Sabrina Rossi

13/03/2020 15:29

Intervista a Sabrina Rossi |  Sport e Vai

Sabrina Rossi: “ Ritiro della Sharapova ?  È come avere una candela e doverla spegnere, l’hai spenta ma non si è consumata “

 

Questo è il giudizio di Sabrina Rossi maestra di tennis di Roma sul ritiro della campionessa russa avvenuto da poco ed in età molto giovane.

Maria è stata abbandonata dal fisico con innumerevoli infortuni.

Sabrina svolge la sua attività a Roma.

Il padre è il “colpevole” della sua passione per il nostro sport che l’ha allontanata dal nuoto.

Capirete dalle risposte che ha dato nell’intervista la sua estrema passione per questo sport che l’ha portata a farne una professione.

Sabrina oltre al lato agonistico dà molta importanza al lato mentale.

Secondo lei il lato mentale nella preparazione di un tennista è fondamentale per la formazione e il successo di un atleta.

Ci illustra tutte le connessioni esistenti nei vari momenti del match tra il lato agonistico e quello mentale.               

 

Il tennis quando lo hai scoperto?

Ho scoperto il tennis attraverso mio padre all'età di 8 anni. Capita spesso che le grandi passioni vengono trasmesse dai genitori. Ero una nuotatrice e come tale la prima cosa che mi aveva affascinato del tennis era stare all'aria aperta.

 

Quando hai capito potesse diventare la Tua professione?

Ho capito che non era solo una passione ma anche un lavoro, quando nonostante le varie vicissitudini che mi portavano a cambiare ora città, ora lavoro, ora continenti c'era un qualcosa che nella mia vita restava costante: il tennis!!!

Iniziai minorenne a fare la maestra in un centro estivo, e da lì non ho mai smesso di insegnare.

Gli altri avevano percepito quello di cui io sarei diventata consapevole solo tanto tempo dopo: non solo la capacità nell'insegnare, ma il piacere che ne traevo nel farlo.

Inizialmente cercavo di conciliare la mia attività di maestra con altri lavori, avevo difficoltà a vedere nell'insegnamento un mestiere, per me era  solo una passione.

Maturando ho capito che nel lavoro come in ogni altra cosa se non c'è passione non puoi farlo nel migliore dei modi.

Era un piacere insegnare e la soddisfazione più grande arrivava a fine lezione quando leggevi negli occhi delle persone un 'grazie'.

Ecco tutta questa scarica emotiva è difficile vederla come un lavoro. Eppure è così e mi sento fortunata per questo.

 

Sei istruttrice Fit e mental coach come riesci a conciliare le due attività?

Non sono una mental coach, ma credo che chiunque voglia insegnare debba esserlo, anche se non riconosciuto con una qualifica.

Non puoi trasmettere una passione se non sai toccare interiormente una persona.

Devi capirne gli obbiettivi, le motivazioni che lo hanno spinto a scegliere quello sport e te come maestro ma soprattutto devi essere capace a sentire le difficoltà che l’allievo incontra altrimenti non puoi essergli di aiuto per superarle.

Solo in questo modo puoi creare un percorso valido che non consista in una semplice trasmissione di un gesto atletico, nel quale devi solo sperare nella capacità dell'allievo che lo sappia riprodurre per mimesi; dove una volta finita l'ora ci si saluta con una stretta di mano dicendosi 'ciao alla prossima'.

In questo modo quello che lasci alle persone è davvero poco!

Riuscendo invece a entrare in empatia con l’allievo, quando questo si troverà a giocare da solo, riuscirà a sentire dentro di se tutti i tuoi insegnamenti, e sarà in grado di correggersi e ad arrivare a migliorarsi anche quando non viene supportato da un maestro.

 

Negli ultimi anni la preparazione mentale dei tennisti è diventata fondamentale come spieghi questo fenomeno?

Ci si avvicina a questo sport sempre più da piccoli e c'è un’elevata attenzione alla tecnica.

Questo porta a un numero sempre maggiore di giocatori e giocatrici che giocano davvero bene. Ecco allora che per emergere serve un qualcosa in più.

In questo modo si è potuto dare attenzione all'aspetto psicologico del tennis e quindi del giocatore.

Vincere una partita richiede si preparazione tennistica, fisica, ma è un gioco di situazione, quindi di tattica di gioco.

Come in ogni tattica bisogna capire i punti deboli e quelli forti dell'avversario, essere pronto ai vari cambiamenti che possono esserci nel corso della partita: possono essere climatici, di reazione dell'avversario su un cambio sia di atteggiamento tennistico ma anche comportamentale. 

Per essere preparato a tutto questo devi innanzitutto essere consapevole delle tue capacità e dei tuoi limiti.

D'altronde il tennis è uno sport che si gioca soprattutto nella testa. Difficilmente entri in campo e ti senti al massimo della forma. Il campo, le palle, il vento, il sole, le gambe che non vanno; non è solo l'avversario che devi affrontare, ma anche e soprattutto te stesso.

Allora è lì che devi attraverso la consapevolezza e la tua forza interiore capire quale mezzi hai a disposizione, quali dover utilizzare con quel determinato avversario e saperle sfruttare al tuo massimo, dal momento che l'obiettivo di un match è vincere.

 

Come mai hai voluto approfondire questo lato del tennista?

Ho voluto approfondire questo lato del tennista attraverso delle esperieze personali, osservando quello che mi capitava nella vita: mi sono resa conto quanto la mia modalità di affrontare determinate situazioni erano connesse al modo in cui affrontavo una partita di tennis (essendo il luogo che ho vissuto maggiormente, soprattutto nel periodo della mia formazione come donna). È li che ho imparato ad essere Sabrina. Apprendere come affrontare situazioni difficili di un match, saper uscire fuori da momenti di crisi, combattere contro la stanchezza, saper essere determinato nei punti decisivi; sono  situazioni che in qualche modo ti ritrovi nella vita quotidiana, ma bisogna aver sempre chiaro che i due campi non devono sovrapporsi, e per chi fa sport a livello professionistico questo non è sempre automatico.

In una competizione sportiva esce il tuo carattere, il tuo modo di essere, non fa altro che svelare chi sei. Nello sport sei costantemente in una situazione di stress, è più facile quindi che i tuoi atteggiamenti escano esasperati, e se hai un aiuto valido accanto come un Mental coach sai qual’è la direzione verso cui devi lavorare. Roger Federer ne è l’esempio più eclatante.

 

La famosa “ paura di vincere “ come la vedi?

Ognuno ha la sua paura di vincere! 

La paura di vincere ha dietro la nostra vita trascorsa.

Dentro c'è la società, i genitori, la religione, blocchi emotivi dovute a delle esperienze. Bisogna imparare a conoscere e riconoscere quale parte interiore ci viene toccata nel momento in cui abbiamo a che fare con un momento difficile: il match point è uno di questi, se non il momento più difficile della partita. Anche la vittoria può avere il suo peso, un peso che non tutti riescono a sopportare. Questo percorso psicologico è difficile da affrontare e per molti impossibile farlo da soli. Un mental coach o uno psicologo hanno gli strumenti necessari da trasmetterti  per poterlo affrontare.

 

Il rientro da un infortunio è uno dei problemi mentali più importanti come la combatti?

Il rientro da un infortunio ha a che fare tutto con la testa. Il ricominciare da capo, la paura del dolore, la fatica che ti spetta. A volte ti sembra che tutto quello che hai fatto fino a quel momento non sia servito a nulla. Se l’infortunio è grave hai addirittura paura che non tornerai più quello di prima. 

Il fisico però ci da dei segnali; è qui che impari a sentirti, ad ascoltarti, a capire cosa vuole dirci. Durante un infortunio il corpo ci parla, dandoci a volte dei messaggi positivi e altri di stop. In realtà ci sta insegnando a rispettare i tempi. A non arrenderci quando ci sembra di migliorare ma ad avere pazienza quando vediamo che il dolore non passa. Questo fa parte della crescita di una persona. Stiamo imparando ad affrontare un altro momento difficile che fa parte dello sport, della vita, dove anche lì l’imperativo è vincere.

 

I problemi di approccio al match è più problematico nelle giocatrici o nei giocatori?

Non credo sia un problema di più o meno problematico. È solo diverso. 

Uomini e donne sono completamente diversi: geneticamente, fisicamente, nel modo in cui affrontano un momento difficile, come vivono l’avversario, Il match. 

Chi insegna non può non tenerlo presente, soprattutto se lavora con i bambini. Un insegnante non può avere lo stesso atteggiamento con i maschietti e con le femminucce. Deve adottare modalità diverse nel parlargli, nell’atteggiamento, nelle parole che vengono usate e il tono. Solo così si possono far arrivare le cose. 

Se non si tiene presente tutto questo, problematico diventa più che altro per il coach che deve seguire un giocatore e aiutarlo a crescere. Gli resterà un’impresa molto ardua.

 

Come giudichi il ritiro dall’attività di Maria Sharapova?

Capisco che deve essere stato molto molto difficile per lei. È come avere una candela e doverla spegnere, l’hai spenta ma non si è consumata. La sua voglia di giocare non si è esaurita, ma ha dovuto fare una scelta. Il fisico è uno degli elementi determinanti per emergere in un giocatore. Se questo non ti supporta nei vari carichi di lavoro che sono sempre maggiori, non puoi andare avanti. Ogni infortunio è un peso che si viene ad aggiungere, creando frustrazione perché è qualcosa che non dipende dalla tua volontà. Siamo fatti di anima e corpo e devono viaggiare insieme.

 

Adamo Recchia


Tags: maria sharapova mental coach Sabrina Rossi

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