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I 46 anni di Thuram, il Malcom X del pallone che doveva farsi prete

01/01/2019 09:43

I 46 anni di Thuram, il Malcom X del pallone che doveva farsi prete |  Sport e Vai

Mai come in questo periodo le sue parole sono state importanti. Compie oggi 46 anni Lilian Thuram, ex difensore della Juve e della Francia, che da sempre è un paladino della lotta contro il razzismo. Ha sempre detto: "Ho sempre pensato che la vita non si fermasse dove finiscono le linee di gesso sul campo". Nel suo personalissimo terzo tempo, Lilian Thuram insegue anche oggi sogni che si chiamano giustizia, rispetto, tolleranza, lui, il nero della Francia che non piaceva a Jean-Marie Le Pen, ora lavora a tempo pieno negli uffici della sua fondazione contro il razzismo, viaggia come ambasciatore dell'Unicef ma in carriera ha vinto tutto. È nel 1981, arrivando dalle Antille insieme alla mamma Marianna e agli altri due fratelli, che il piccolo Lilian scopre il razzismo. Nelle città satellite dove abita, a Bois-Colombes poi ad Avon, vicino Parigi, i compagni di scuola lo chiamano Noiraude, il nome di una mucca – nera - dei cartoni animati che fa sempre la parte della stupida. Ha avuto una madre molto forte, che da sola ha cresciuto cinque figli (di padri diversi, ma nel suo Paese è frequente) e che un giorno è partita per andare a lavorare a Parigi quando Thuram aveva 9 anni.

CONTRO IL SISTEMA - Una volta, in una partita contro il Milan, sente i tifosi cantare "Ibrahim Ba mangia banane sotto casa di Weah". Nel dopopartita, il difensore del Parma critica l'insulto razzista. La domenica successiva i tifosi rispondono con uno striscione "Thuram rispettaci!". "Il mondo all'incontrario. Invece di riflettere su quello che avevo detto, si erano sentiti loro offesi". La gloria arrivò prima a Parma nel 1995: “Ho scoperto una piccola città ferma nel tempo. Sono andato in bicicletta fino in piazza Duomo, mi sembrava di essere finito in un museo a cielo aperto. A Torino ho scoperto un'altra filosofia sportiva. Dentro allo spogliatoio, nessuno diceva "oggi dobbiamo vincere". Era ovvio, un dovere scritto nelle regole. C'era un gran rispetto del lavoro di tutti, nessuno poteva permettersi di fare la primadonna. L'avvocato Agnelli veniva ogni tanto a salutarci e allora si fermavano gli allenamenti. Un segno di stima che oggi forse non esiste più". Nel 2006 la partenza da Torino viene un attimo dopo lo scandalo di Calciopoli ma Thuram è sempre stato sui generis: "Mi è spesso capitato di arrivare alla fine della partita senza sapere esattamente il risultato. Non davo importanza al punteggio e gli altri giocatori mi guardavano come se fossi pazzo. Altre volte, l'allenatore mi chiedeva di marcare un giocatore di cui non conoscevo il nome. "Come, non lo sai?" diceva stupito. Se giochi contro uno o l'altro per me non conta niente, l'importante è dare sempre il massimo".

LA SENSIBILITA' SOCIALE - A fine carriera, mentre sta trattando per andare dal Barcellona al Paris Saint-Germain, i medici gli diagnosticano un problema al cuore. Sembra la malattia genetica di sua madre e suo fratello, morto mentre giocava a basket. Per fortuna, invece, non è la stessa patologia. "Ma non valeva la pena correre un rischio, anche piccolo, e far vivere nell'ansia la mia famiglia a ogni allenamento o partita". Thuram si congeda a trentasei anni e fa in fretta a passare ad altro. "Non guardo quasi mai le partite. Qualche volta controllo la classifica delle squadre in cui ho giocato, Monaco, Parma, Juventus”. Da piccolo sognava di farsi prete, ha preso altre strade ma con la stessa voglia di cambiare il mondo. "Quando ero alla Juve, Fabio Capello mi ripeteva: "Smettila con le tue storie politiche". Non gli rispondevo, ma ho sempre pensato che abbandonare le cause in cui credo significherebbe rinunciare a me stesso". È stato l'unico sportivo a rispondere a Sarkozy che definiva racaille, feccia, i ragazzi delle banlieue. "Con quello che guadagna - commentò l'allora ministro dell'Interno - Thuram non può farsi portavoce delle periferie". "Dopo ci siamo incontrati. Mi ha detto, testuale, che i problemi della banlieue sono causati dai neri e dagli arabi. Io gli ho fatto notare invece che è un problema di delinquenza che bisogna affrontare senza alcuna generalizzazione sul colore della pelle". Diventato presidente, Sarkozy gli ha offerto un posto da ministro della Diversità. Ha ottenuto un garbato rifiuto. Il razzismo è la sua ossessione: "Mi preoccupa la pericolosa banalizzazione del razzismo di questi ultimi anni. Razzisti non si nasce, si diventa. Perché il razzismo è culturale”.


Tags: juventus razzismo thuram

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