La storia di Franco Ligas, cronista sportivo che ha raccontato il pugilato con passione, rispetto e umanità. Esempio di giornalismo vero
Nel panorama sportivo italiano, pochi giornalisti hanno lasciato un segno profondo quanto Franco Ligas. Per anni, la sua voce ha accompagnato le serate televisive dedicate alla boxe, raccontando non solo i match, ma l’anima dei pugili.
Non era solo un cronista, ma un narratore dell’umano: capace di leggere nei silenzi tra i colpi, di dare dignità anche alla sconfitta, di emozionare senza spettacolarizzare.
Inizia la carriera nel giornalismo sportivo presso emittenti locali lombarde. Si occupa di vari sport, dimostrando versatilità e capacità narrativa. Cura sia la parte giornalistica che tecnica delle trasmissioni: montaggio, commento e vendita dei servizi.
Viene assunto da Fininvest nel 1984 (la futura Mediaset). Inizia a collaborare con Italia 1 e Canale 5, in particolare nella redazione sportiva. Diventa noto per le telecronache di boxe, contribuendo alla diffusione dello sport in TV.
È considerato uno dei massimi esperti italiani di pugilato televisivo. Segue match nazionali e internazionali, tra cui titoli europei e mondiali. Commenta incontri anche in seconda serata, rendendo accessibile la boxe al grande pubblico. Porta un approccio sobrio, tecnico e umano nel racconto degli incontri.
Scrive articoli e rubriche di approfondimento per riviste sportive e testate dedicate alla boxe. Interviene come ospite in trasmissioni radiofoniche dedicate allo sport e al pugilato. Interviene nel dibattito su temi tecnici della boxe, come l’uso del giudizio elettronico nei match dilettantistici. Difende l’importanza del giudizio umano nell’interpretazione dell’incontro.
L’apprezzamento per Ligas è trasversale: rispettato da colleghi, atleti e appassionati per il suo stile mai gridato. Viene ricordato come una figura etica, elegante e appassionata del giornalismo sportivo. La sua figura è tuttora un riferimento per il giornalismo sportivo dallo stile narrativo e rispettoso.
In un’epoca fatta di telecronache urlate e analisi superficiali, Franco Ligas si distingueva per sobrietà e rispetto. Mai sopra le righe, mai banale. Sapeva essere tecnico, ma accessibile anche ai neofiti della boxe.
Era il tipo di giornalista che non rubava la scena ai pugili, ma li serviva, raccontando le loro storie con delicatezza. Chi lo ascoltava non si sentiva solo informato, ma anche coinvolto.
Una caratteristica unica di Ligas era la sua attenzione per chi perdeva. Se un pugile andava al tappeto, lui non cercava il sensazionalismo, ma raccontava la fatica, la dignità, la storia.
“Non basta vincere. Bisogna aver lottato con qualcosa dentro.”
Questa frase riassume il suo approccio al pugilato: per lui, un incontro era solo la parte visibile di un percorso molto più lungo.
Dopo la sua scomparsa, nel mondo sportivo si è aperto un vuoto. Non solo per la mancanza di una voce autorevole, ma per la perdita di un modo etico e umano di fare giornalismo sportivo.
Franco Ligas ha dimostrato che si può parlare di uno sport duro come la boxe con eleganza, profondità e cuore.
In un tempo dove lo sport è sempre più spettacolo, serve ricordare figure come Ligas. Il suo lavoro ci insegna che anche dietro a un KO, a una vittoria o a una sconfitta, ci sono uomini, sogni e storie.
La boxe ha ancora bisogno di voci vere. Di chi sa raccontare con passione, ma senza rumore.
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