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Zemanlandia non finisce mai. Riuscirà il boemo nel miracolo di salvare il Pescara?

23/02/2017 13:15

Zemanlandia non finisce mai. Riuscirà il boemo nel miracolo di salvare il Pescara? |  Sport e Vai

Che calcio sarebbe, e sarebbe stato, senza Zdeněk Zeman? La domanda sorge spontanea e non a caso, visto l’ennesimo ritorno su una panchina del calcio italiano da parte del tecnico boemo, che ha risposto presente alla chiamata del Pescara dopo l’esonero di Massimo Oddo. Ora a Zeman tocca il difficilissimo compito della salvezza, vista l’ultima posizione in classifica della squadra abruzzese, a quota 12 punti e a 10 dal quart’ultimo posto occupato dell’Empoli. A giudicare dalle quote delle scommesse sportive relative alla serie A, si tratta di una vera e propria impresa e il boemo ha meno di metà stagione per provarci. Ma allora perché sono ancora in tantri a credere in lui?

UNA STORIA CHE NASCE LONTANO

Zeman nasce a Praga esattamente 70 anni fa, il 12 maggio del ’47, ma la sua naturalizzazione italiana è avvenuta per ciò che tanto ha dato allo sport nazionale, con l’Italia che è diventata la sua seconda nazione. Personaggio sempre sulla bocca di tutti, dagli addetti ai lavori ai semplici tifosi, la sua filosofia di gioco non ha mezze misure: o la si ama o la si odia. Come concepisce il gioco del pallone, è cosa risaputa: la famosa filosofia “zemaniana” consiste in un calcio votato all’attacco. Precursore negli anni ottanta del modulo, ormai sdoganato, che risponde alla formula del 4-3-3, Zeman non ha mai cambiato idea, non è mai sceso a compromessi. Che siano stati presidenti a criticarlo, o tifosi o giornalisti dell’ambiente, è sempre andato avanti per la sua strada, prendendosi tutte le responsabilità del momento. Il suo lavoro ha avuto ragione in alcuni casi, torto in altri. Ma non si è mai snaturato, sempre fermo su dogmi precisi. Chi lo ha avuto nella sua squadra, non ha potuto fare altro che ammirarlo, a differenza di chi, al contrario, non ha mai avuto a che fare con lui. Famosa rimane la sua accusa a Moggi, definito “il burattinaio”, preludio di Calciopoli.

Il primo grande “miracolo” risale al 1987 quando, approdato al Parma dopo l’addio di Arrigo Sacchi che sarebbe passato al nuovo Milan di Silvio Berlusconi, sconfisse il Real Madrid per 2-1 in una sera di agosto con le reti di Turrini e Gambaro. Cinque anni dopo, alla guida di un Foggia che lui stesso aveva reso grande, sconfigge la Juventus di Ravanelli e Vialli senza il trio rossonero che aveva fatto sognare quella squadra di provincia fino ad allora rimasta nel limbo. Parliamo, ovviamente, dell’attacco formato da Signori, Rambaudi e Baiano. Il suo Foggia rimarrà, senza dubbio, la sua “opera” migliore, il fiore all’occhiello di una carriera che non sempre ha visto il suo operato in club blasonati, e proprio per questo maggiormente fuori dall’ordinario rispetto a tanti altri suoi colleghi.

UN FIUTO INNATO PER IL GOL ED IL TALENTO

Calcio votato all’attacco vuol dire anche segnare tanto e subire tanto. Una della gare che passerà alla storia per il suo punteggio tennistico è quella contro la Fiorentina di Batistuta e Rui Costa quando era alla guida della Lazio (stagione ‘94/’95): un 8-2che i tifosi viola non potranno mai dimenticare. Un altro tratto saliente del tecnico boema è senz’altro la sua tendenza spiccata come talent scout. I nomi scoperti sono diversi: da Schillaci a Signori, passando negli ultimi anni da Insigne a Verratti. Questi ultimi due scoperti sulla panchina che lo vede protagonista da una settimana, quella del Pescara, che nel 2011 riportò in serie A dalla B dopo 19 anni di digiuno per il club abruzzese. Ritorno coi fiocchi, che ha visto la compagine abruzzese vincere per 5-2 contro il Genoa.


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