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Napoli: Festa a metà per la Coppa tra indignazione e dolore

04/05/2014 12:44

Napoli: Festa a metà per la Coppa tra indignazione e dolore |  Sport e Vai

Il peccato e la vergogna, che a dirli così sembrano una fiction di Canale 5, affiorano a Napoli all’alba di una notte surreale, dopo caroselli di clacson per una coppa Italia vinta e dopo le lacrime, la paura e lo sgomento per quanto vissuto in un giorno di sangue e odio con un trentenne colpito alla colonna vertebrale da un’arma da fuoco e ancora in serio pericolo di vita e tanti feriti gravi ricoverati in ospedale. Smaltita l’euforia per il trofeo alzato con la vittoria sulla Fiorentina  - che ha consacrato una volta di più Benitez re di Coppa con scelte indovinate dall’Insigne riscopertosi goleador al jolly Mertens spacca-partite quando entra dalla panchina – resta il silenzio rumoroso per quanto visto e sentito. Hanno perso tutti all’Olimpico, prima, durante e dopo la finale più assurda della storia perché se i veri protagonisti anziché Higuain o Borja Valero sono stati il pregiudicato “Gastone” e Genny ‘a Carogna il problema riguarda tutti e non solo due tifoserie e una città che tutto era fuorchè neutra. Gastone è Daniele De Santis, boss della curva Sud romana e romanista che già fu protagonista nel 2000 del derby sospeso per false voci su un bambino morto per colpa della polizia, ed è lui che ha sparato, secondo la polizia, quei proiettil fatali. Genny ‘a carogna è Gennaro De Tommaso, capo dei Mastiffs, uno dei più noti gruppi ultrà del Napoli, figlio di un camorrista affiliato al clan Misso. Che sia stato lui a dare l’ok affinchè la partita si giocasse o meno cambia poco: ha tenuto in scacco la curva di tifosi azzurri, ha proibito cori e bandiere, ha fatto da referente di tutto un popolo - con la sua maglietta inneggiante a Speziale, l’omicida dell’ispettore Raciti a Catania e alla liberazione degli ultras – con il povero Hamsik e le forze dell’ordine. Eccola, la seconda sconfitta: anziché rivolgersi con gli altoparlanti a tutto lo stadio, che non capiva cosa stava succedendo, si è andati a trattare e a parlamentare con un singolo. Certo, per motivi di ordine pubblico sono ammesse anche situazioni estreme, come quelle di non far sapere che a sparare era stato un ultrà romanista e come quella di venire a patti con personaggi ambigui, e va detto, ma l’immagine delle istituzioni (presenti in tribuna dal premier Renzi al presidente del Senato Grasso, oltre a questore e prefetto) e del calcio che si mettono tutti in ginocchio davanti ai capo-ultrà è avvilente. Dopo aver convinto ‘a carogna ed avendo ricevuto il placet a che la gara avesse inizio, ecco la terza sconfitta. Quei fischi all’inno, cantato con coraggio da Alessandra Amoroso. Fischi assordanti, come se quel trofeo si chiamasse coppa anti-Italia e non coppa Italia, fischi ignoranti, come se il tricolore non fosse anche il simbolo dello scudetto che tutti sognano, fischi di retorica come se poi tra poco più di un mese quegli stessi personaggi che hanno fischiato l’inno italiano non fossero pronti ai Mondiali a recitarlo a memoria e a scendere per le strade con le trombette per un eventuale successo degli azzurri di Prandelli. Ma non finisce qua: dopo la partita non ci è stata risparmiata neanche l’invasione di 150-200 sostenitori del Napoli, che hanno sbeffeggiato la curva viola, hanno distrutto una porta ed hanno impedito la gioia autentica dei veri tifosi presenti, costringendo le squadre ad una ritirata negli spogliatoi. Tutti ostaggio di pochi. E il peccato è grave quanto la vergogna. Perché tra le tante colpe gravissime – la prima, quella di omicidio speriamo solo tentato – c’è anche quella di aver annullato una festa vera a  centinaia di migliaia di persone allo stadio o a casa, di bambini entusiasti o di persone perbene che volevano solo tifare e far festa.

Stefano Grandi

 


Tags: napoli hamsik benitez ultrà insigne omicidio mertens

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