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L’ora più buia – Lo sport ai tempi del COVID-19

17/03/2020 10:57

L’ora più buia – Lo sport ai tempi del COVID-19 |  Sport e Vai

Abbiamo incontrato il Dott. Luca Del Federico, dottore commercialista e consulente sportivo, nonché, in passato, Direttore di alcuni Challenger ATP di tennis. Facciamo con lui un primo bilancio dell’emergenza del COVID-19 nel mondo dello sport.

Dott. Del Federico quali sono gli effetti di questa epidemia nel mondo dello sport?

Oggi purtroppo siamo in pandemia mondiale, con la dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità che ha spostato il contagio in fase 6 (la più alta in assoluta per un’emergenza sanitaria). Ci sono alcuni Paesi (Cina, Sud Corea, Iran ed Italia), attualmente più colpiti, in cluster 4, ossia dove è necessario porre in atto tutte le contromisure idonee a contrastare il dilagare del contagio. In Italia sono state prese misure molto importanti con diversi provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri. A mio giudizio ancora non sufficienti anche per la non assoluta collaborazione di tutti i cittadini.

Cosa vuol dire?

È presto per analisi e riscontri, ma purtroppo alcuni giocatori ed atleti continuano ancora ad allenarsi anche se le partite di campionato sono sospese e gli incontri sportivi pure. Potrei capire le esigenze di pochissimi giocatori/atleti, di assoluto livello internazionale, impegnati ad esempio per le prossime Olimpiadi ma per il resto non stiamo aiutando il mondo nel fermare il contagio.

Mi spieghi meglio?

Non sono uno scienziato o un medico. Ma per assurdo fermare la pandemia in teoria sarebbe molto semplice. Evitare il passaggio del virus da un ospite (malato) ad un nuovo ospite sano. Immaginiamo che in Italia (ma ovvio che lo stesso vale per qualunque Paese al mondo) tutti eccetto il personale sanitario, di polizia, militare, etc. stessero in isolamento assoluto per venti giorni, individuato l’ultimo portatore di virus ed ospedalizzato, il virus sarebbe morto, ossia non potrebbe più replicarsi. E’ chiaro che questo è difficilissimo e poi ci potrebbero essere comunque contagiati nelle categorie sopra elencate necessarie per la vita essenziale di una nazione. Mi spiace osservare come lo sport si stia dimostrando restio ad attuare questi schemi così rigidi ma essenziali per bloccare la malattia. Mi ha sconvolto, non più di qualche giorno fa, lo stadio di Liverpool, per la gara di Champions League, pieno all’inverosimile o i tifosi del Paris Saint Germain che in una bolgia di persone esultavano per la vittoria della propria squadra. La formula 1 in Australia non si voleva fermare, con il ritiro della Mc Laren, è stata finalmente annullata la prova mondiale. Non si è capito che il nostro nemico è un piccolissimo essere invisibile che colpisce tutti e senza distinzione. Il virus COVID-19 fortunatamente non è così drammaticamente mortale come altri che abbiamo avuto nel recente passato quali Ebola ma è molto più contagioso.

Pertanto, secondo lei cosa si dovrebbe fare?

Si deve annullare immediatamente tutto e precisamente ogni evento sportivo internazionale fino alla fine di giugno. Ogni federazione dovrebbe poi consentire gli allenamenti solo a pochissimi giocatori di importanza a livello mondiale considerato, altresì, il blocco degli eventi che si dovrebbe attuare. Nel calcio ci sono ancora squadre che con la scusa di verificare la temperatura o altro fanno allenare i giocatori in piccoli gruppi di nascosto. Nel tennis, la FIT ha autorizzato circa 160 giocatori  ad allenarsi. Decisamente troppi. Ogni giocatore, immagino, avrà il suo allenatore, il fisio, il gestore che apre l’impianto sportivo, etc. Pertanto, solo in questa disciplina avremo circa 500 persone in contatto tra di loro. Le stesse torneranno a casa dalle proprie famiglie o nei propri ambienti sportivi, dovendo mangiare, lavarsi gli indumenti sportivi, etc. Il contagio così non si ferma. La federazione, a mio giudizio, avrebbe dovuto limitare gli allenamenti ai soli giocatori (uomini e donne) di prima categoria ed all’interno di un unico impianto con successiva quarantena. Le federazioni internazionali di tennis (ATP, WTA e ITF) hanno bloccato tutti i tornei fino alla fine di aprile. Chiaramente, in questo momento, non si poteva fare di più, ma non sarei affatto sorpreso se gli eventi sportivi di questa disciplina venissero sospesi per altri due mesi ricominciando dalla settimana di Wimbledon (se siamo molto bravi e fortunati). Nel calcio dovrebbe avvenire lo stesso; soluzione ideale è quella di bloccare tutto per valutare (anche con una formula diversa) lo svolgimento delle fasi finali dei campionati nazionali nel mese di luglio. A mio giudizio fino alla dichiarazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità della fine della pandemia ogni evento internazionale programmato è da annullare. Le Olimpiadi sono da posticipare a fine agosto nella speranza che venga dichiarata la fine della pandemia a fine luglio primi di agosto. La posizione del Regno Unito, poi, di non adottare politiche immediate di contenimento del contagio, andrà a determinare il sicuro annullamento di Wimbledon, se continua così. Ne sono certo. Nessuno oggi lo vuole ammettere e si scappa dal problema. Sentire il Direttore del Roland Garros che il torneo si farà a fine maggio ha dell’incredibile.

Per gli organizzatori degli eventi sportivi cosa cambia?

Tutto. E’ uno tsunami sportivo. Bisogna però fare il possibile per salvare almeno le Olimpiadi in Giappone che sono l’evento sportivo più importante in assoluto, rinviando l’inizio di un mese. Gli Europei di calcio sono, in questo momento, fortemente a rischio. Credo che non si terranno. Meglio rinviarli all’anno prossimo. Il giro d’Italia, salvo riprogrammazioni, è impossibile tenersi. Si perderanno tantissimi soldi non potendosi tenere numerosi eventi sportivi programmati e pronti per essere disputati con già i biglietti e diritti televisivi venduti. Purtroppo per molti atleti sarà la fine della propria carriera o di un sogno. Si pensi ad un giocatore ovvero ad un’atleta che per la propria età non potrà partecipare ai prossimi Campionati europei o alle prossime Olimpiadi se non si terranno quest’anno per la diffusione del COVID-19.

Ma con il caldo a giugno ne potremmo essere fuori?

In Italia, forse, perché la fase del contagio è, ahimè, in fase più avanzata e quindi ne dovremmo uscire prima ma nel Resto d’Europa e Nord America no. Potrei dire che assistiamo ad un effetto domino “not in my garden”. Mi spiego a dicembre il contagio da COVID-19 era appena cominciato in una città della Cina, Wuhan, nella provincia di Hubei con una dimensione geografica e popolazione molto simili all’Italia. Per il mio lavoro professionale e per passione informativa mi sono subito interessato alla circostanza ai primi di gennaio. La somiglianza con la SARS era molto forte anche se avendo visto, anni prima il film Contagion che incredibilmente presenta delle circostanze molto simili (nel film la contagiosità e la mortalità erano molto più alte del COVID-19) ero molto preoccupato della possibilità di propagazione del contagio. Ingenuamente, però ho ritenuto che avrebbe avuto uno sviluppo con prevalenza in Cina e la restante parte dell’Asia confinante come la SARS. Anche i pochissimi casi in Italia (se vi ricordate la coppia di cinesi isolati poi a Roma) nel mese di gennaio erano stati immediatamente isolati. Poi il primo caso del 21 febbraio e l’incremento esponenziale mi ha lasciato sconcertato fin dai primissimi giorni del contagio. Nessuno mi voleva sentire sulla pericolosità del virus. Tornando alla mia prima affermazione: effetto domino “not in my garden”. Fino al 21 febbraio tutti in Europa pensavamo che il problema fosse solamente della Cina, restando isolato in quel contesto socio-economico il virus (concetto per intenderci come la SARS). Il contagio poi passava ad altri Paesi asiatici, a noi europei lontani, come Corea del Sud, Giappone ed Iran. Ma improvvisamente (appunto il 21 febbraio) abbiamo perso l’illusione che il contagio fosse da per tutto ma “not in my garden”. Nel giro di tre settimane siamo, in Italia, ad oltre 22mila contagiati. Però per circa due settimane il problema si è ritenuto solo italiano e non europeo. Adesso, in questi ultimi giorni il contagio sta colpendo duramente anche tutto il resto dell’Europa ed il Nord America. Di fatto è pandemia con crollo delle economie mondiali. I tempi sono notevolmente lunghi. E si deve avere il coraggio di ammettere che tutti gli eventi sportivi fino alla fine di giugno nell’emisfero nord devono essere immediatamente annullati. Vi ricordo che la SARS terminò come epidemia l’ultima settimana di luglio mentre la A N1H1 la prima di agosto dell’anno successivo a quello di inizio della diffusione della malattia.

Prospettive e soluzioni?

Sono un grande appassionato di storia. La situazione oggi è quella del Regno Unito di Winston Churchill che con il suo discorso del 13 maggio 1940, alla Camera dei Comuni, subito dopo la drammatica sconfitta nella battaglia di Dunkerque, nell'ora più buia per il Paese e della seconda guerra mondiale, affermò il famoso principio che mai, e poi mai ci si deve arrendere. Lo sport va fermato immediatamente come tutte le attività non necessarie, limitando gli allenamenti, se veramente non fosse possibile fermarli, a pochissimi giocatori ed atleti ed esclusivamente negli sport individuali. Troppi continuano ad allenarsi aumentando il rischio di contagio. Quella che è andiamo ad affrontare per lo sport mondiale è l'ora più buia dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo è il momento della responsabilità e del sacrificio per il bene comune; le normative sono sicuramente più chiare e, se seguite, contribuiranno in maniera decisiva a contenere il contagio verso ciascuno di noi e le persone che ci sono più care, siano esse i nostri famigliari, gli atleti o compagni di squadra oppure i nostri colleghi di lavoro o di studio. Se ogni persona infetta di COVID-19 ne può contagiare in media altre tre, ogni persona responsabile ne può invece salvare altre 5 o forse 10. Ecco perché è fondamentale essere responsabili e far sì, con l’esempio, che chi è attorno a noi lo sia altrettanto. Dobbiamo fermarci tutti e subito per ripartire prima.

Adamo Recchia


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