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Moratti racconta tutto, Io, Ibra, Messi e Mou: quanti aneddoti

07/03/2019 12:00

Moratti racconta tutto, Io, Ibra, Messi e Mou: quanti aneddoti |  Sport e Vai

Un racconto lunghissimo e che pure copre solo una piccola parte della sua storia all'Inter. Massimo Moratti si confessa al Corriere della Sera e parla di acquisti, di rapporti umani, di rimpianti. Una storia da leggere tutta d'un fiato: «Il mio primo “vero” acquisto da presidente si chiama Javier Zanetti. Zanetti non arrivò come seconda scelta insieme a Rambert. Mi avevano mandato delle videocassette del campionato argentino. Mi ero soffermato su Ortega ma avevo notato un giovane terzino destro. Lui, Zanetti. Mandai Suarez e altri collaboratori. Una notte mi chiamarono: “Noi procediamo, ma è sicuro?” . Risposi di attendere cinque minuti. Svegliai uno dei miei figli e gli dissi di mettere su al volo una videocassetta. Presi il telefono e ordinai di acquistare Zanetti». Benedetti filmati. «Sì e no. Se avessi dovuto affidarmi alle videocassette, forse Zamorano non sarebbe mai arrivato... Nei filmati si smarcava e concludeva con frequenza in porta, ma il pallone non entrava mai. Chiesi se per caso mi avessero fatto uno scherzo...». Non era uno scherzo. «Un altro interista dentro, Ivan. La tensione lo portava a vomitare prima di entrare in campo».

INIESTA  E MESSI  - Moratti stava anche per prendere Iniesta: "Incontrai i vertici del Barcellona, avevamo forza economica e persuasiva... Parlai di parecchi giocatori. Ma quando pronunciai il nome di Iniesta, l’atteggiamento mutò radicalmente. Avrei potuto fare qualsiasi offerta e sarebbe stato inutile. Non lo avrebbero mai venduto. Partimmo alla carica anche per Messi. Missione in Spagna. I miei tornarono e raccontarono delle difficoltà di salute e dell’impegno del Barcellona, della dedizione per risolvere quei problemi. Dissi di lasciar perdere. Giuro. Si stavano prendendo cura di Messi come un padre col figlio». Sempre Barcellona, ma indietro negli anni: Ronaldo. «Venne a trovarmi a Milano. Lo accompagnavano una giovane fidanzata e un disegnino, che esibiva tutto contento e che mi lasciò in regalo. Ronaldo giocava nel Psv ma stava firmando per il Barcellona. Era qui per strategia del procuratore... Ovvio che l’avrei preso su due piedi, ma la trattativa con il Barcellona era al passo finale. Sarebbe stata per la volta successiva, giurai. Un anno dopo, mi confidarono che con gli spagnoli s’era aperta una crepa. Diedi ordine di lavorare per prenderlo. A ogni costo. Io e Ronaldo, in quella fase, ci sentimmo spesso al telefono. Gli piaceva il corteggiamento ma, da buon brasiliano, diceva e non diceva… Quando divenne conclamata la spaccatura con il Barcellona, forzai i tempi. Prima della presentazione in piazza Duse, Ronaldo venne a pranzo a casa mia. C’erano mia moglie, i miei figli. Sembrava un ragazzino, rideva e si divertiva. Invece è dotato di uno straordinario spirito di osservazione, registra ed elabora tutto. Dopo quel pranzo, durante il quale aveva finto di guardare distrattamente questo e quello, mi diede in pochi minuti un quadro dettagliato del carattere di tutti i presenti».

DA INCE A IBRA - La storia continua. «Con Ince mi mossi in persona. Andai a casa sua. Ero appassionato di Manchester United. Con Cantona, le nostre vite si incrociarono nella giornata sbagliata. Quand’era in programma Manchester-Crystal Palace, la partita del calcio di Cantona al tifoso... Ero coi miei figli in tribuna… Ince lo seguivo già, e proprio in quell’incontro mi fece ulteriormente impazzire, per l’ardore con il quale si scagliò contro chiunque incontrasse… Andai a casa di Ince per dirgli che doveva venire all’Inter. Accettò. Speravo che, finita la squalifica, avrebbe accettato anche Cantona. Ma era sfiduciato, senza energia, provato». È stato un rimpianto? «Nella vita siamo tutti in prestito, figurarsi le cose di calcio... E poi, esistono strade già tracciate... Con Pirlo, quando dal Milan andò alla Juventus, ci fu più di uno spiraglio per un ritorno all’Inter. Ma non se ne fece nulla. Ibrahimovic, quando passò dal Barcellona al Milan, mi chiamò. Confessò l’inizio della trattativa e, con un gesto che ho molto apprezzato, mi disse che se avessi avanzato una controfferta, avrebbe scelto noi. Una controfferta pure al ribasso, si premurò di sottolineare. Ma, come ho detto, le strade erano tracciate e non aveva senso forzare gli eventi». Chi è Ibra? «È tante cose insieme. Ci un periodo che chiedeva con frequenza di venire in sede a parlare... Partiva prendendo il discorso alla larga, ma era evidente che avesse qualcosa di impellente da comunicarmi. E io: “Forza, dimmi”. Al che lui diceva che, tutto sommato, la squadra avrebbe anche potuto fare a meno di Cambiasso… Io strabuzzavo gli occhi: “Cambiasso?”. Passava qualche giorno, e anche lo stesso Cambiasso arrivava in sede... Pure Esteban partiva da lontano... I minuti trascorrevano... E io: “Forza, dimmi”. Cambiasso si premurava di farmi sapere che, tutto sommato, la squadra avrebbe anche potuto fare a meno di Ibrahimovic…». 

DA SNEIJDER A MOU - Ibra andò in Spagna, Eto’o a Milano. «Samuel... Il professionista per antonomasia: nel senso che “vengo, vinco e me ne vado”. Quanto sgobbava, in campo... E i gol... Il gol in casa del Chelsea, fondamentale, su lancio di Sneijder, in Champions. Ecco, Sneijder. Sempre a Forte dei Marmi, mi fermò un barista: “Presidente, ci manca un unico giocatore. Quello che darà le accelerate decisive in mezzo al campo. Sneijder”. Parlò con tale forza persuasiva che io, per non commettere errori, chiamai Branca chiedendogli di sentire Mourinho. Branca richiamò e disse che Mou aveva esclamato: “Magari”. Partimmo con la trattativa, che si sbloccò anche perché al Real, Sneijder non trovava spazio. Quel barman non l’ho più rivisto. Lo volevo ringraziare... A pensarci bene... i bar... Con Figo ci incontrammo vicino al mare. Trovammo subito l’intesa economica. Ci stringemmo la mano ed ero pronto a congedarlo, senonché Luis, per il pieno rispetto della forma, si disse disposto a recarsi dove serviva per le firme ufficiali. Era estate piena, non c’era nessuno nell’immediatezza disponibile, sicché dissi a Figo che l’accordo era stato raggiunto, eravamo due galantuomini e non ci sarebbero state brutte sorprese…Niente, insisteva... Presi un tovagliolo, uno di quelli colorati, e lo invitai a scriverci sopra… “Io sottoscritto mi impegno a… durata del contratto... ingaggio... firma... eccetera eccetera». È stato così immediato anche con Mourinho? «Mou mi aveva incantato in un’intervista quando allenava il Benfica. Lì mi dissi che prima o poi l’avrei portato a Milano. Ci vedemmo la prima volta a Parigi. Sono state fatte parecchie speculazioni, riguardo all’ipotesi che l’avessi chiamato prima, quando Mancini era il nostro allenatore. Non è vero. Vero è che avviammo le trattative con Mou e lo invitai in Francia, nella casa parigina. Per due volte. La seconda volta si presentò con un quadernone, fitto fitto di appunti e schede: era uno suo studio sull’Inter di allora, con le caratteristiche dei giocatori in rosa e i nomi di altri calciatori che sarebbero stati funzionali... Quel quadernone sembrava una tesi di laurea, un lavoro pazzesco, di sicuro costato giorni e notti di lavoro...». E la prima volta? «La prima volta Mou arrivò sotto casa mia in incognito, pareva un film di spionaggio... Camminava radente i muri... Quando aprì la porta, finalmente convinto d’aver superato ogni rischio e di essere al sicuro, la colf si mise a urlare: ”Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!!”. Credo che l’eco risuonò per metà Parigi... Quella donna era portoghese, e mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti uno dei beniamini nazionali...». E Mou? «Era imbarazzato, continuava a fissarmi.». E lei? «Io ridevo, divertito come non mai».


Tags: moratti mourinho messi

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