Edmundo sul malore di Ronaldo: "Francia-Brasile '98 dovevo giocarla io"

Il malore di Ronaldo, la finale Francia-Brasile e tutto quello che è successo nel mezzo. Mai chiareza è stata fatta fino in fondo su quell'episodio che segnò a vita la finale dei Mondiali del 1998. Ora c'è una nuova versione dei fatti. L'ha raccontata Edmundo in un'intervista a Playboy: "Fui il primo che mi accorsi delle sue convulsioni. Stava male, Zagallo decise di farmi giocare titolare, poi Ronaldo tornò dall'ospedale e volle giocare...e così fu". Edmundo è stato uno dei tanti geni e sregolatezza del calcio internazionale. Pieno di talento, capace di numeri e gol incredibili, fu tradito, come spesso succede, dalla sua vita da ragazzo in una famiglia molto povera. I soldi e i fasti del calcio lo hanno spesso accecato come nell'esperienza italiana, prima alla Fiorentina e poi al Napoli: "Occasioni perse come lui stesso le ha definite". Nell'intervista a Playboy Brasil l'adesso 43enne ex giocatore ha vuotato il sacco sulla sua vita, sulla sua carriera ed anche su quell'episodio in Francia poco prima della finale Mondiale: “Fui il primo a vedere. Stavamo in stanze attigue, separate solo da una porta. Mi alzai da tavola dopo il pranzo per andare in bagno. In quel momento attraverso la porta aperta vidi Ronaldo con le convulsioni. Era sdraiato sul letto e Roberto Carlos era sul letto a fianco con la tv accesa. Aveva la cuffia e non si era accorto di niente. Ronaldo era viola, con la bava alla bocca e il corpo che si contraeva. Uscii di corsa a cercare il medico, che stava in un’altra parte dell’albergo. Tornai ancora di corsa e insieme a Cesar Sampaio riuscii a toglierli la lingua dalla gola per farlo respirare. Quando arrivarono i medici era già tutto sotto controllo. Zagallo si rivolse a me: “Edmundo, questa è la tua occasione”. Andammo allo stadio. Ci cambiammo e al momento di andare a fare il riscaldamento, tornò Ronaldo dall'ospedale dove aveva fatto delle analisi, sorridente, dicendo: “Gioco. Dov’è la mia roba? Devo giocare”. E Zagallo mi fece un segno da lontano: “Mi dispiace, Edmundo, abbi pazienza. Vabbè…”.